L'epatite C - HCV
L’epatite C (dal greco “hepato”, fegato, e “itis” infiammazione) è un’infiammazione del fegato causata da un virus denominato HCV (Hepatitis C Virus).
Prima del 1989, anno in cui fu identificato il virus, l’epatite C era definita come “non A non B”.
Nel corso degli anni a partire dalla sua definizione, le terapie per la cura dell’epatite C hanno fatto passi da gigante, ed oggi si può con serenità affermare che l’epatite C è una malattia curabile in tutti i pazienti!
In particolare dagli anni ’90 si sono susseguite terapie sempre più efficaci, che se inizialmente permettevano di trattare solo una parte dei pazienti, e con percentuali di successo variabili e relativamente basse, con effetti collaterali importanti, oggi permettono l’eradicazione del virus in tutti i pazienti con percentuali superiori al 95% e con effetti collaterali lievi o trascurabili.
L’HCV attacca preferenzialmente il fegato, attraverso l’attivazione del sistema immunitario dell’ospite, provocando danni strutturali e funzionali anche molto gravi.
Nello specifico l’infezione causa la morte delle cellule epatiche (necrosi epatica), che vengono sostituite da un nuovo tessuto di riparazione-cicatrizzazione, cosi da determinare il processo di fibrosi epatica. A lungo andare questo tessuto di cicatrizzazione sostituisce tutta o quasi la componente sana del fegato, da cui deriva una grave compromissione delle sue attività, potendo evolvere in cirrosi epatica.
A. Gasbarrini, 2006
In Italia, la diffusione dei virus HCV ha toccato la massima intensità tra gli anni 60 e la metà degli anni 80. Da tale periodo è iniziato un declino della incidenza di infezioni legato principalmente alle migliori conoscenze delle vie di trasmissione, l’introduzione dei test per il controllo del sangue e derivati destinato alle donazioni e alla produzione degli emoderivati, alla diffusa adozione di materiali medici monouso e, più in generale, all’elevarsi del livello igienico sanitario.
Ciò detto, l’infezione da HCV ha generato un numero cospicuo di portatori cronici del virus a causa dell’elevato tasso di cronicizzazione.
l’epatite C, in Italia, è la causa principale
delle epatiti croniche
delle cirrosi
dei tumori al fegato
dei trapianti di fegato
dei decessi di malati di AIDS (coinfetti)
Ovvero, l’epatite C causa il maggior numero di decessi tra le malattie infettive trasmissibili. Tuttavia, l’introduzione delle nuove e più efficaci terapie antivirali è destinata a cambiare a breve lo scenario epidemiologico delle malattie epatiche croniche in Italia, con maggiore prevalenza di steatosi epatica e malattia alcool-relata.
Una delle caratteristiche principali dell’epatite C è sicuramente l’alta percentuale di persone che cronicizzano l’infezione, nelle quali cioè il virus riesce a insediarsi stabilmente.
Rispetto infatti ad altre infezioni virali, ma anche delle stesse altre infezioni da virus epatitici come l’HBV che causa l’epatite B, la percentuale di persone che una volta entrati in contatto con il virus riesce spontaneamente ad eliminarlo grazie all’azione del proprio sistema immunitario, è estremamente più bassa.
Si stima infatti che solo il 20-30% delle persone elimini il virus spontaneamente, e quindi che il 70-80% delle persone passi, invece, in fase cronica.
In particolare, dopo l’esposizione al virus HCV, il sistema immunitario reagisce cercando di eliminarlo; in questa fase che viene definita acuta e che può durare fino a 6 mesi, il nostro organismo lotta contro il virus. È questa la fase in cui generalmente si avvertono sintomi chiaramente indicativi di una infezione epatica, sebbene nella maggior parte dei casi (90/95%) decorre in modo asintomatico.
Al termine della fase acuta, se l’organismo non è riuscito a eliminare il virus, si entra in una fase cronica: è questa la fase più problematica dal momento che la malattia può rimanere silente, senza cioè chiari sintomi anche per molti anni impedendo una diagnosi precoce.
Epidemiologia del virus HCV
Le epatiti virali sono le malattie del fegato più diffuse e costituiscono un grave problema di Sanità pubblica.
L’epatite virale in generale comporta un’infiammazione del fegato: la causa più comune è uno dei sei virus dell’epatite (A, B, C, D, E e G) che può provocare una forma acuta o cronica di danno epatico.
La maggioranza delle epatiti virali acute è asintomatica e spesso decorre senza che il medico riesca ad identificarla. Solo quelle forme che si manifestano con sintomi classici aspecifici (malessere, astenia, febbricola, febbre, anoressia, nausea) o sintomi più specifici di danno epatico (ittero, colore scuro delle urine, feci chiare, prurito) possono essere evidenziate e confermate con le indagini di laboratorio.
Sicuramente, le forme più diffuse di epatite sono causate dai virus dell’epatite A (HAV), B (HBV) e C (HCV).
Figura 1: Tassi di incidenza per 100.000 abitanti delle epatiti virali acute, per anno;
SEIEVA 1985-2013
Tra di essi, il virus HCV è il responsabile di gran parte delle epatiti di origine virale in Italia.
Secondo le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel mondo sono circa 80 milioni le persone colpite dal virus dell'epatite C (HCV), pari al 1,1% della popolazione globale, con un'ampia variabilità di distribuzione geografica.
Stime dell'incidenza e della diffusione dell'epatite C nel mondo | ||
Area | Persone affette da epatite C | Decessi |
Mondo (2016) | 80 milioni* (1.1%) | 700.000* |
*stime dell’OMS derivate da studio Gower et al. – Journal of Hepatology 2014 1, 2 |
L'OMS ha inoltre stimato che le prevalenze maggiori si registrano nell’Africa occidentale, Est Europa e Asia Centrale (>2.5%), e che le persone dipendenti da droghe per via iniettiva rappresentino il gruppo a più alta prevalenza (fino al 67%).
Bisogna tuttavia sottolineare che tali dati potrebbero rappresentare una sottostima del reale quadro epidemiologico globale dell'epatite C, che decorre spesso in modo asintomatico in quanto chi contrae l'infezione può non manifestare anche per molti anni alcun segno della malattia.
Negli ultimi 20 anni in Occidente l'incidenza (numero di nuovi casi all'anno) dell'infezione da HCV è notevolmente diminuita (anche in Italia), per una maggior sicurezza nelle trasfusioni di sangue e per il miglioramento delle condizioni sanitarie, pur essendoci una continua espansione dell'uso di droghe per via endovenosa e immigrazione di persone che vivono in aree ad elevata diffusione del virus.
Al momento attuale in Europa, l'uso di droghe per via endovenosa è diventato il principale fattore di rischio per la trasmissione di HCV.
Il Nord Europa presenta una prevalenza (misura la proporzione di individui di una popolazione che, in un dato momento, presentano la malattia) globale tra 0,1 e 1%.
In Europa centrale la prevalenza è intermedia, dallo 0,2% nei Paesi Bassi all’1,2% in Francia mentre nell'Europa meridionale e orientale, la prevalenza stimata dall’OMS è pari o superiore al 2,5%.
Figura 2: Prevalenza dell'HCV nel mondo – Gower et al.
Le modalità di contagio del virus HCV
Il contagio dell’infezione da HCV avviene principalmente per via parenterale, cioè attraverso il sangue, e molto meno frequentemente per via sessuale.
L’infezione si trasmette preferenzialmente per via orizzontale, da individuo a individuo, e in minor misura, con una frequenza del 3-5%, per via verticale-perinatale, cioè da madre a figlio; tale percentuale aumenta considerevolmente nel caso di madri portatrici anche del virus dell’immunodeficienza umana (HIV), raggiungendo tassi del 15-25%.
La via parenterale
È la via preferenziale di trasmissione dell’HCV.
I principali mezzi di contagio di sangue infetto sono:
Aghi e siringhe riutilizzabili per iniezioni intramuscolari ed endovenose di farmaci e droghe. Il rischio di contrarre l’infezione attraverso questa modalità è oggi diminuita in occidente grazie all’utilizzo di materiale monouso e di procedure di sterilizzazione, soprattutto a livello sanitario-ospedaliero, ma sussiste ancora nei paesi in via di sviluppo.
In generale il rischio è molto alto tra i tossicodipendenti che fanno uso di droghe per via endovenosa, in cui l’incidenza di infezione da HCV oscilla dal 50 al 95%: in Europa e negli Stati Uniti la tossicodipendenza è il principale fattore di rischio per l’epatite C.
Trasfusioni di sangue e di plasma-emoderivati.
Hanno rappresentato il fattore di rischio prevalente per la diffusione dell’HCV negli anni antecedenti il 1990, prima cioè che fosse introdotto lo screening obbligatorio del sangue basato sulla ricerca degli anticorpi anti-HCV.
Oggi grazie all’impiego di test sempre più sensibili e a un più scrupoloso reclutamento dei donatori, il tasso di incidenza di epatite C associato alle trasfusioni si è quasi azzerato nei Paesi occidentali (< 0,9%), ma resta alto nelle nazioni in via di sviluppo, per le quali le trasfusioni rappresentano attualmente il principale mezzo di contagio.
Strumenti con cui vengono praticati il piercing, i tatuaggi, l’agopuntura, interventi odontoiatrici e endoscopie, e in generale tutti gli oggetti - di uso sanitario o domestico - che possono procurare ferite anche lievi, quali forbici, rasoi, spazzolini e tagliaunghie, e che, se non opportunamente sterilizzati, possono fungere da vettori di infezione.
La via sessuale
È la modalità meno frequente di diffusione dell’HCV, con un numero di casi inferiore al 5%.
Tuttavia esistono situazioni che possono aumentare tale rischio:
- la malattia epatica in fase acuta;
- un’attività sessuale promiscua (tale pratica espone i soggetti al rischio di contrarre malattie veneree le cui lesioni cutanee possono costituire un porta di ingresso o di uscita di un’infezione HCV);
- lo stato di immunocompromissione, cioè un indebolimento delle difese immunitarie dell’organismo, causato per esempio dalla concomitanza di altre patologie, dallo stato di trapiantato etc;
- l’infezione da HIV;
- la presenza di lesioni genitali (causate per esempio dall’herpes genitale);
- il ciclo mestruale.
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