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Steatoepatite, alcuni test non invasivi potrebbero evitare la biopsia epatica

I risultati di uno studio pubblicato su Nature Medicine e diretto da Arun Sanyal, della Virginia Commonwealth University School of Medicine (Stati Uniti), hanno dimostrato l'efficacia di cinque test non invasivi per patologie epatiche come la steatoepatite associata a disfunzione metabolica, o MASH, segnando un passo avanti verso l'approvazione normativa di tali esami.

«Attualmente, la diagnosi di MASH in stadio iniziale richiede una biopsia epatica, che è un processo doloroso, invasivo e costoso. La MASH è una malattia grave e, una volta che il fegato inizia a cicatrizzare, aumenta il rischio di cirrosi, cancro al fegato e morte, lasciando spesso il trapianto come unica opzione di trattamento per i pazienti. I pazienti non mostrano sintomi fino alle fasi avanzate della patologia, quando sviluppano la cirrosi. Non esistono trattamenti approvati dalla FDA» spiegano gli autori. I test dei biomarcatori sono stati confrontati con misure standard. Ogni test sui biomarcatori che ha soddisfatto o superato le prestazioni degli attuali test di laboratorio è stato valutato per l'uso nella diagnosi di MASH e patologie correlate in oltre 1.000 pazienti che hanno partecipato alla ricerca.

Gli esperti ritengono che disporre di test accurati sui biomarcatori per MASH invece delle biopsie epatiche possa incoraggiare i pazienti a partecipare a futuri studi clinici. L'utilizzo di esami non invasivi potrebbe inoltre ridurre significativamente i costi di tali ricerche, aumentando l'interesse per lo sviluppo di farmaci. I test potrebbero anche essere facilmente prescritti in uno studio medico. «Questi risultati ci portano un passo avanti verso la disponibilità di semplici test basati sul sangue che possono essere prescritti in qualsiasi contesto clinico e possono facilitare la nostra capacità di identificare i soggetti più a rischio di esiti negativi, e indirizzarli alla terapia. Servirà anche come base per la prognosi, il monitoraggio della malattia e lo sviluppo di biomarcatori di risposta al trattamento» concludono gli autori.

Fonte: doctor33.it


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