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Ricerca sul cancro: ecco dove si orientano gli investimenti nel mondo

Tra le varie branche della medicina, l’oncologia è quella a cui sono destinati i maggiori investimenti in ricerca. Inevitabile, considerando l’impatto che i tumori hanno in tutto il mondo (19,3 milioni i nuovi casi stimati nel 2020, quasi la metà i decessi) e nelle diverse fasce d’età.

Uno sforzo dunque comprensibile e che inizia a dare i suoi frutti, se si guarda alla progressione dei tassi di sopravvivenza registrata per alcune malattie negli ultimi quarant’anni. Ma adesso che in molti casi si sta cercando di migliorare risultati già rilevanti grazie all’avvento della medicina di precisione, c’è chi si interroga su come sia possibile ottimizzare la destinazione dei fondi destinati alla ricerca in ambito oncologico.

Un approdo che, per essere raggiunto, necessita di un’istantanea precisa che aiuti a rispondere alla seguente domanda: dove vanno a finire nello specifico i miliardi di euro e dollari che ogni anno istituzioni pubbliche e realtà no profit destinano alla ricerca sul cancro?

Un’analisi per valutare le ricadute degli investimenti nella ricerca sul cancro

Analisi di questo tipo fanno parte del lavoro che tutti gli enti – pubblici o no profit: dunque non le company farmaceutiche, che finanziano quasi per intero le varie fasi di uno studio clinico con l’obiettivo di lanciare sul mercato una nuova terapia – svolgono con cadenza annuale anche per ricalibrare periodicamente gli ambiti di finanziamento con l’obiettivo di ridurre l’impatto sociale dei tumori.

Quello che però finora è mancato è stata una lettura di sistema, per restituire uno scenario globale. È quello che ha fatto un gruppo di ricercatori anglosassoni, cercando di ricostruire il percorso che i fondi destinati alla ricerca oncologica hanno compiuto dal momento dell’erogazione per raggiungere l’approdo finale.

Un lavoro che ha riguardato gli investimenti garantiti tra il 2016 e il 2020 da istituzioni pubbliche e realtà non profit presenti negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Giappone, in Germania, in Cina e in Canada. Oltre che dalla Commissione Europea e (in maniera cumulativa) in altre trenta nazioni. Italia esclusa, perché “pur essendoci diversi enti che sostengono la ricerca, i dati non sono facilmente accessibili”: questo quanto riferito dagli autori della ricerca.

Due – al di là della possibilità di misurare lo sforzo compiuto a livello di singolo Paese – erano i loro obiettivi. Il primo: valutare l’andamento del trend quantitativo degli investimenti, tenendo presente che l’ultimo anno incluso nell’analisi è coinciso con la diffusione di Sars-Cov-2 in tutto il mondo. Il secondo: comprendere quali step della ricerca siano maggiormente finanziati e quanto nell’assegnazione dei fondi si tenga conto del diverso impatto in termini di incidenza e sopravvivenza di ogni forma di cancro.

Oltre 66 mila le iniziative finanziate

La fotografia scattata dai ricercatori – a coordinare il lavoro le Università di Southampton (Gran Bretagna) e Belfast (Irlanda del Nord) – è risultata ricca di spunti.

In quattro anni, intanto, lo sforzo profuso per sostenere oltre 66 mila iniziative di ricerca (di varia natura) è stato superiore a 24 miliardi di dollari. Sul podio delle nazioni, primeggiano gli Stati Uniti (14 miliardi): seguiti dal Regno Unito (quasi 1,7 miliardi) e dalla Commissione Europea (poco meno di 1,6 miliardi). Più indietro la Cina e il Giappone: nel loro caso il maggior numero di iniziative sostenute è stato bilanciato da un ridotto investimento per singolo progetto.

Fin qui, si potrebbe pensare nulla di nuovo. E infatti sono altri due gli aspetti che i ricercatori hanno messo in luce, nell’articolo pubblicato sul numero di giugno della rivista The Lancet Oncology.

Per prima cosa: il progressivo calo dei finanziamenti su scala globale, con un salto dagli oltre 6,5 miliardi del 2016 a poco meno di 3 del primo anno caratterizzato dalla diffusione della pandemia. Per poi passare al peso riconosciuto alle diverse fasi della ricerca che può portare allo sviluppo di una nuova metodica diagnostica o terapia.



La più finanziata è la ricerca di base

Nel complesso oltre il 70 per cento dei fondi raccolti – pari all’incirca a 18 miliardi di dollari – è stato destinato al sostegno alla ricerca di base. A seguire: la ricerca epidemiologica (9,4 per cento), le varie fasi di sperimentazione clinica di un principio attivo (7,4 per cento) e quelle attività correlate che possono portare al passaggio di una molecola dalla fase di ricerca di base a quella clinica (5 per cento).

Nella valutazione trasversale, i ricercatori hanno riconosciuto anche come buona parte della liquidità (oltre il 41 per cento) sia stata destinata a progetti mirati a comprendere i meccanismi biologici alla base delle malattie. Una fetta probabilmente eccessiva, a detta degli scienziati inglesi, “perché affinché la ricerca di base determini un beneficio per i pazienti, possono passare più di 15 anni. Al di là dell’assenza di dati specifici nel lavoro, il problema è sentito anche in Italia: in cui di fatto è nata l’oncologia medica.

“La sproporzione è evidente – ammette Saverio Cinieri, fino a ottobre alla guida dell’Associazione Italiana Oncologia Medica (Aiom) – e molti dei fondi delle realtà non profit nel nostro Paese vanno perlopiù alla ricerca di base, anche se negli ultimi anni abbiamo iniziato a vedere una piccola inversione di tendenza. Servirebbe mettere attorno a un tavolo queste organizzazioni, i ministeri della Salute e dell’Università e della Ricerca e le società scientifiche per capire quali siano i bisogni urgenti a cui destinare maggiori finanziamenti”.

Pochi investimenti su diagnosi precoce, chirurgia e radioterapia

Come fronteggiare allora in tutto questo tempo l’avanzata del cancro? Con l’investimento nello sviluppo di nuovi farmaci (19,6 per cento) e nell’immunoncologia (12,1 per cento). Ma non solo.

La partita contro i tumori si gioca con armi quali la chirurgia oncologica (a cui è stato destinato appena l’1,4 per cento degli oltre 24 miliardi di dollari erogati tra il 2016 e il 2020) e la radioterapia (2,8 per cento), tuttora pilastri spesso insostituibili nella terapia delle malattie oncoematologiche.

“Non dimentichiamo che oltre l’80 per cento dei pazienti colpiti da un tumore solido richiede un intervento chirurgico e che più di uno su due viene trattato anche con la radioterapia – è il pensiero messo nero su bianco dai ricercatori, esplicitato a più riprese negli ultimi mesi anche dai radioterapisti italiani attraverso le pagine di AboutPharma –. Sebbene l’immunoterapia rappresenti un approccio terapeutico in rapida crescita, l’ammontare dei finanziamenti risulta con ogni probabilità sproporzionato”.

Ridotto (pari al 12,8 per cento) è stato considerato anche l’impegno per rafforzare la diagnosi precoce, il cui impatto benefico in termini di aumento della sopravvivenza riguarda praticamente tutte le malattie oncologiche.

A quali malattie vengono destinati più fondi?

Una parte significativa dell’analisi è consistita nel valutare anche la ripartizione dei fondi tra le diverse forme di cancro.

Come prevedibile, la parte del leone l’ha fatta l’oncologia generale: accaparrandosi quasi il 30 per cento dei fondi. Scendendo nel dettaglio delle singole malattie, invece, la quota più significativa è stata destinata al tumore al seno (11,2 per cento), alle neoplasie ematologiche (9,2 per cento), a quelle cerebrali (5,5 per cento), a quelli polmonari (5,3 per cento) e a quelli della prostata e del colon-retto (5,1 per cento).

Se il dato relativo ai tumori del sistema nervoso centrale evidenzia l’assoluta necessità di individuare nuove strategie di cura, “c’è una sproporzione tra l’impatto che una malattia ha in termini di incidenza e mortalità e i fondi che le vengono destinati per la ricerca”, è quanto si legge nel lavoro: in cui si pone in risalto l’antitesi che riguarda la proporzione applicata al tumore al seno (l’11,7 per cento del totale dei nuovi casi di cancro riceve l’11,2 per cento dei fondi) e le maggiori difficoltà incontrate nel portare avanti la ricerca su quello del polmone (a cui è stato destinato il 5,2 per cento dei fondi, a fronte di un’incidenza pressoché analoga e di un tasso di mortalità quasi tre volte superiore).

Più risorse ai Paesi ai Paesi meno agiati per ridurre l’epidemia di tumori

Dati che messi in fila, secondo i ricercatori, portano a un’unica considerazione. Per evitare che la stima secondo cui nel 2040 i nuovi casi annui di cancro potrebbero essere quasi 30 milioni, con il rischio di arrivare a sfiorare i 15 milioni di decessi, “occorre rivedere le priorità di investimento nella ricerca sul cancro a livello globale, al fine di allinearsi con le esigenze della popolazione tenendo conto dell’esiguità delle risorse disponibili”.

Inoltre, nonostante i casi di tumore nei Paesi a basso e medio reddito siano in aumento e alcune stime lascino immaginare che tra pochi anni 3 decessi su 4 provocati da una malattia oncologica si registreranno proprio in queste realtà, “soltanto una frazione degli investimenti è destinata alla ricerca sull’impatto globale di queste malattie”.

Secondo Stuart McIntosh, chirurgo senologo della Queen’s University di Belfast e primo autore dell’analisi, “l’attuale investimento nella ricerca sul cancro non si allinea bene né con l’attuale distribuzione globale della malattia né con i principali trattamenti utilizzati”.

Più attenzione, a detta dei ricercatori, va posta ai dati di real-world evidence. E alla gestione delle malattie metastatiche: oggi non sempre sinonimo di possibilità di cura pari a zero. “Grazie alle terapie disponibili e complici i ridotti investimenti sulla diagnosi precoce, il numero di pazienti che vive in questa situazione è in aumento”, è uno dei messaggi riportati nelle conclusioni del lavoro.

Fonte: aboutpharma.com


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