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Epatite C: trattare subito o aspettare?

Trattare i pazienti con epatite con i nuovi farmaci attualmente disponibili (boceprevir e telaprevir) che hanno consentito di migliorare la perfomance delle terapie in uso da tempo (interferone e ribavirina) oppure aspettare le nuove terapia orali che promettono tassi di cura ancora più elevati, una migliore maneggevolezza e la possibilità, almeno in una parte dei casi, di fare a meno dell'interferone?

E' questo in sintesi il dilemma clinico che oggi devono fronteggiare medici e pazienti affetti da epatite C. Se ne è parlato a Roma di recente nel corso del VI convegno nazionale di EpaC, l'associazione dei malati con epatite C che, nonostante il maltempo, ha visto riuniti oltre 450 pazienti provenienti da tutte le regioni d'Italia. Al congresso hanno partecipato molti dei migliori epatologi italiani che hanno fatto il punto sulle terapia più avanzate, sull'uso di questi farmaci nei pazienti più complessi e hanno dibattuto le migliori strategie a seconda delle condizioni del paziente.

Il presidente dell'Associazione, Ivan Gardini ha illustrato alcune delle più importanti attività svolte recentemente dell'associazione: sull'informazione, prevenzione, counselling, indirizzamento, advocacy, collaborazione con altre entità ed associazioni scientifiche, in particolare con l'Associazione Italiana Studio Fegato. In particolare Gardini si è soffermato sulla doverosa mission di incoraggiare tutti i pazienti che ancora non sono riusciti a guarire e ha raccontato la sua emozionante storia personale di lotta contro la malattia.

Venendo ai nuovi farmaci, secondo le stime più attendibili, i primi rappresentanti della seconda generazione degli antivirali ad azione diretta (sofosbuvir e simpeprevir) saranno disponibili in terapia nel nostro Paese, presumibilmente, entro la fine del 2014 e l'inizio del 2015. Gli altri (faldaprevir, daclastavir, ABT 4503, ABT 333, ABT 267 ecc), invece, arriveranno a cavallo tra il 2015 e il 2016. Aspettare questi farmaci oppure iniziare adesso la terapia, hanno detto gli esperti, dipende dalla gravità della malattia, dalla sua velocità di evoluzione, dalla presenza di fattori di rischio e dalle condizioni generali dei pazienti. L'obiettivo, qualunque sia la scelta adottata, è ottenere la risposta virologica sostenuta (SVR) ed evitare che il paziente arrivi a sviluppare la cirrosi o l'epatocarcinoma.

La parola d'ordine è personalizzazione della terapia, per usare i farmaci quando servono, con il giusto approccio (duplice, triplice terapia) oppure decidere di aspettare i nuovi antivirali. Lo studio genetico del paziente, che valuta sette polimorfismi genetici, può aiutare per capire il rischio di quel determinato paziente di sviluppare cirrosi e stabilire il giusto regime terapeutico. Ecco un schema di approccio terapeutico proposto dagli esperti e che si basa sulla classificazione METAVIR della fibrosi epatica, che identifica 4 stadi di malattia.

Per i pazienti in F0 F1 non c'è indicazione al trattamento, perché il rischio che corre quel paziente di sviluppare cirrosi è minimo. Sarà sempre utile un attento e costante monitoraggio del paziente. Al contrario, i pazienti in F3 dovrebbero essere subito trattati con la triplice terapia, qui il rischio è molto elevato. Chi è in F4 con malattia compensata deve anche qui utilizzare subito i farmaci più potenti (triplice), se invece la malattia è scompensata occorre aspettare a iniziare una terapia perchè il rischio di utilizzare i farmaci è ancora maggiore. Il grosso dei pazienti è però in F2. In questi pazienti, per decidere la migliore opzione sarà importante valutare la presenza dei fattori di rischio, come coinfezioni con HBV e HIV. La scelta finale, hanno sottolineato gli esperti, dovrà essere condivisa tra medico e paziente, in una interazione costante e consapevole.

Fonte: Pharmastart.it

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