Epatite C: l’importazione di farmaci non autorizzati in Italia non costituisce reato se è effettuata per uso personale. Luci e ombre di un’interessante pronuncia del tribunale di Roma
È un provvedimento che ha suscitato immediato entusiasmo ma che pure fa discutere l’ordinanza resa dal Tribunale del riesame di Roma che, lo scorso 2 settembre, ha dato ragione ad un malato che aveva comprato on line la versione “generica” e “low cost” del nuovo farmaco anti-epatite C, disponendo il dissequestro della fornitura proveniente dall’India e bloccata alla dogana di Ciampino.
Secondo i Giudici, in particolare, l’Ufficio delle Dogane non poteva legittimamente sequestrare i prodotti perché il reato contravvenzionale posto alla base del provvedimento di sequestro (art. 6 e art. 147, co. 2, d.lgs. 219/2006) prevede la condotta di chi importa medicinali in assenza di autorizzazione per la messa in commercio, mentre, nel caso in esame, “la quantità limitatissima di prodotti importati, la accertata malattia del paziente e la prescrizione prodotta non possono lasciare dubbi in ordine alla destinazione esclusivamente personale dei prodotti importati”.
In altre parole, “l’importazione che costituisce reato è riferita esclusivamente all’attività di chi abbia introdotto nel territorio dello Stato medicinali per farne successivo commercio, e non anche a chi, come nel caso di specie appare pacifico, li abbia introdotti per farne esclusivo uso personale”.
Tale conclusione, per quanto di indubbio interesse, è in linea non solo con alcuni precedenti giurisprudenziali (Tribunale di Genova 17.5.2010; Tribunale di Bari, 30.1.2012), ma anche con le previsioni del nostro ordinamento che, in deroga al principio per cui “nessun medicinale può essere commercializzato in Italia senza aver ottenuto un’autorizzazione dell’AIFA o un’autorizzazione a livello comunitario” (art. 6 d.lgs. 219/2006), ammettono l’acquisto per il solo uso personale di medicinali regolarmente autorizzati in un Paese estero in due ipotesi legislativamente individuate.
Da un lato, infatti, occorre considerare che la normativa italiana permette l’importazione di farmaci dall’estero su richiesta del medico curante, alle precise condizioni previste dal d.m. 11.2.1997 (tra le quali vi è la mancanza di una valida alternativa terapeutica che, a rigori, non parrebbe ricorrere ove il farmaco sia già registrato in Italia, pur essendo, di fatto, indisponibile a causa del costo troppo elevato).
Dall’altro lato, poi, con riferimento all’ipotesi dei farmaci che vengono personalmente portati dal viaggiatore che rientri in Italia (art. 158, co. 8, d.lgs. 219/2006), è pacificamente ammessa l’importazione di medicinali registrati in altri Paesi (che siano o meno registrati in Italia), sempre che, beninteso, gli stessi siano destinati ad uso personale (trattamento terapeutico non superiore a 30 giorni, salvo diversa posologia indicata sulla ricetta del medico prescrittore valutata di volta in volta dalle Autorità sanitarie e doganali di frontiera).
Se, dunque, l’ordinanza in commento ha il pregio di aver ulteriormente chiarito che l’importazione per uso personale di farmaci registrati in altri Paesi non costituisce reato, restano comunque aperti alcuni dubbi e questioni che il provvedimento non affronta direttamente, legati, essenzialmente, al fatto che in Italia non è ammessa tout court la compravendita on line di farmaci con obbligo di prescrizione medica (art. 112 quater d.lgs. 219/2006), neppure tramite siti internet di altri Paesi, dal momento che, in base alle norme sull’e-commerce farmaceutico, il venditore è tenuto a rispettare le previsioni normative (eventualmente più restrittive) del Paese di destinazione.
Quindi, anche se l’illecito penale è del venditore, e non del malato, resta il fatto che la vendita on line di farmaci soggetti a prescrizione costituisce pur sempre una condotta vietata, e che viene fortemente contrastata a più livelli dal nostro ordinamento (anche tramite i numerosi provvedimenti di sequestro cui assistiamo quotidianamente), al fine di arginare il fenomeno della contraffazione dei farmaci - che su internet vede il proprio territorio d’elezione – e, così, di garantire la qualità, la sicurezza e l’efficacia dei medicinali offerti a distanza al pubblico.
Ancora una volta, dunque, l’Associazione, nell’invitare i propri associati alla prudenza e al rispetto delle norme, auspica che possa avvenire a breve una revisione dei criteri di rimborsabilità prioritaria fissati da AIFA, che – oltre a garantire un più ampio accesso alle terapie innovative da parte di tutti i pazienti affetti da epatite C - avrebbe anche il grande merito di attenuare i rischi per la salute sopra menzionati.
Associazione EpaC onlus
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