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Donne, malattie rare e lavoro: trovare un equilibrio con l’impegno di tutti

L’esempio di chi affronta da caregiver una malattia colestatica rara e reinventa la propria vita personale e professionale (di Ipsen)

Chi affronta una malattia rara, da paziente o da caregiver, è chiamato a reinventarsi sotto molti punti di vista, incluso quello professionale. Un compito non facile, soprattutto in una società che impone ritmi frenetici e che ha ancora molti passi da compiere verso l’inclusione nel mondo del lavoro e nel supporto di chi è malato e dei suoi cari.

Così molte persone - soprattutto donne che devono dividersi tra professione e cura - decidono di abbandonare la carriera, per far fronte alla gestione del proprio parente malato e delle sue incombenze quotidiane, spesso inconciliabili con i ritmi lavorativi.

La forza delle “lavoratrici rare”

La storia di Daniela Cavallaro, moglie di un uomo con una rara malattia colestatica, dimostra che le cose non stanno sempre così. «Sono una lavoratrice rara perché dopo la diagnosi di mio marito, che convive da 30 anni con la colangite sclerosante primitiva (Psc), ho deciso di impegnarmi per costruirmi un nuovo lavoro su misura, che mi desse maggiore flessibilità e mi permettesse di prendermi cura di lui». Oggi Daniela – che è anche responsabile dei progetti per pazienti e caregiver di Amaf Onlus, un’associazione impegnata nella lotta contro le malattie autoimmuni del fegato – sottolinea il valore della professione nella propria vita. «Proprio il lavoro si è rivelato fondamentale, perché mi ha permesso di conquistare la libertà. Parlo della libertà di scegliere di restare, di decidere di esserci e di impegnarmi come donna, come professionista, come moglie e come caregiver, permettendomi di animare quella rete di amore invisibile che sostiene e dà forza ogni giorno a chi affronta una malattia».

Un modello da comunicare e sostenere

La testimonianza di Daniela Cavallaro è un esempio che indica la strada. Perché il bilanciamento tra lavoro e malattie rare non deve essere considerato una chimera, un’utopia irrealizzabile. Al contrario, rappresenta un modello da comunicare e incoraggiare, sensibilizzando l’opinione pubblica e la società affinché la scelta di Daniela diventi sempre più praticabile. È questo il punto di vista di Ipsen, azienda biofarmaceutica globale fortemente impegnata nell’offrire soluzioni terapeutiche in oncologia, neuroscienze e malattie rare. A settembre, durante la manifestazione Il Tempo delle Donne organizzata dal Corriere della Sera, Ipsen Italia ha promosso il talk “Dietro le quinte, ma in prima fila”, a cui ha partecipato proprio Daniela Cavallaro.

Trovare un equilibrio tra lavoro e rarità

Al centro del dibattito, la vita e i bisogni di tante donne che si trovano davanti alla diagnosi di una malattia rara. «È uno dei momenti emotivamente più devastanti nella vita di una persona e di tutta la sua famiglia», premette Patrizia Olivari, Presidente e Amministratore Delegato di Ipsen Italia. «Oltre ad affrontare sintomi che sono fortemente debilitanti, il paziente e i suoi caregiver devono reinventare la propria quotidianità, rivedere le proprie ambizioni e spesso reinventarsi anche come professionisti. Chi come Ipsen ha l’ambizione di cambiare la storia delle malattie colestatiche rare, oltre a impegnarsi nello sviluppo di farmaci in grado di modificare o rallentare il decorso della malattia, deve anche contribuire a far conoscere le storie di chi si impegna per conciliare lavoro e rarità».

L’impatto della colangite biliare primitiva

Tra le patologie rare del fegato che hanno un grande impatto sulla qualità di vita delle persone c’è la Colangite Biliare Primitiva (Pbc). «Questa malattia rara, autoimmune e progressiva attacca i dotti biliari del fegato provocando colestasi e colpisce prevalentemente il sesso femminile», spiega Vincenza Calvaruso, professore associato di Gastroenterologia dell’Università di Palermo e presidente dell’Associazione italiana Studio del Fegato. «A causa della sua natura insidiosa, legata alla mancanza di sintomi specifici, purtroppo la sua diagnosi è spesso ritardata. Se non trattata adeguatamente, la Pbc può progredire in cirrosi e insufficienza epatica fino alla necessità di eseguire il trapianto di fegato».

Uno dei sintomi più comuni e spesso sottovalutato è la “fatigue”: una sensazione di stanchezza così importante da limitare le donne nello svolgimento delle attività quotidiane e del lavoro. «Oggi i progressi terapeutici che la comunità scientifica sta ottenendo possono aiutare a rallentare la progressione della malattia e dare una speranza di vita migliore a tanti pazienti con ridotta qualità di vita a causa della stanchezza marcata e del prurito», conclude l’esperta.

L’importanza di fare fronte comune

Tra i punti di riferimento per i pazienti e le loro famiglie c’è EpaC, associazione che ha alle spalle 25 anni di attività di sostegno, counselling, educazione, prevenzione e informazione sulle epatiti e le malattie del fegato. «Oggi le donne non sono più solo madri o casalinghe, ma anche lavoratrici impegnate e in alcuni casi forse più degli uomini, in sostanza un perno fondamentale della società attuale e della famiglia», afferma Ivan Gardini, presidente di EpaC. «Scoprire di avere una malattia è sempre un fulmine a ciel sereno. La Pbc è poi anche una malattia rara che compromette un organo importante, il fegato e le vie biliari, che porta spesso con sé stanchezza marcata e prurito, sintomi che possono minare la centralità della donna. Tutti gli attori del sistema devono fare fronte comune per fare più informazione e cercare di far scoprire prima questa patologia a chi ne è affetto, evitando danni inconsapevoli».



I CONTENUTI DI QUESTO ARTICOLO SONO STATI PRODOTTI DA IPSEN

Fonte: Corriere.it

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