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Considerazioni e chiarimenti in merito all’acquisto all’estero di farmaci anti-epatite C

Sempre più spesso pervengono alla scrivente Associazione richieste di chiarimento da parte di pazienti affetti da epatite C, nonché di loro familiari o medici curanti, volte a conoscere quale sia la posizione ufficiale e oggettiva di EpaC Onlus con riferimento alla possibilità e alle corrette modalità per procurarsi all’estero alcuni farmaci innovativi per la cura dell’epatite C, a fronte della circostanza che in Italia gli stessi sono dispensati a carico del S.S.N. solo per i casi più gravi ed urgenti, risultando, di fatto, inaccessibili per la stragrande maggioranza dei pazienti a causa del loro costo molto elevato.


                   In particolare, in alcuni Paesi in via di sviluppo (quali, ad esempio, India, Egitto, Pakistan, ecc.), sono disponibili, a prezzi assai più contenuti, le versioni cosiddette “generiche” dei farmaci anti-epatite C, ovverosia, farmaci aventi lo stesso principio attivo di quelli autorizzati in Europa, talvolta frutto di accordi tra le aziende farmaceutiche multinazionali titolari del brevetto del farmaco “branded” e alcune aziende produttrici locali.


                   Nella maggior parte dei casi, tuttavia, non si tratta di farmaci “generici” in senso proprio, bensì di farmaci non validati dall’EMA per l’uso sul territorio europeo, e in relazione ai quali la comunità scientifica non dispone al momento di alcuna pubblicazione a supporto dell’equivalenza, dell’efficacia e, soprattutto, della sicurezza degli stessi.


                   Inoltre, secondo quanto riportato in un comunicato di allerta diramato dall’OMS nei giorni scorsi e ripreso anche in una nota dell’AIFA, nel sud-est asiatico sono stati identificati due medicinali anti-epatite C contraffatti, ovverosia immessi sul mercato attraverso canali non controllati, e per i quali non è, dunque, possibile in alcun modo garantire la qualità, la sicurezza e l’efficacia (spesso si tratta di medicinali che non contengono ingredienti attivi, o che contengono ingredienti attivi differenti, oppure presenti in quantità o qualità diverse da quelle indicate).


                   Date queste premesse, ed in attesa di un più ampio accesso – che si auspica possa avvenire a breve - alle terapie innovative da parte di tutti i pazienti affetti da epatite C, la sottoscritta Associazione ritiene di poter tratteggiare le seguenti indicazioni, in un’ottica di bilanciamento tra le comprensibili esigenze di accesso alle cure da parte dei pazienti e il rispetto dei limiti posti dalla normativa vigente a tutela della salute pubblica:


                   1) Secondo i principi generali, nessun medicinale può essere commercializzato in Italia senza aver ottenuto un’autorizzazione dell’AIFA o un’autorizzazione a livello comunitario (art. 6 d.lgs. 219/2006). Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque metta in commercio medicinali per i quali l’AIC non è stata rilasciata o confermata, ovvero è stata sospesa o revocata, o medicinali aventi una composizione diversa da quella dichiarata o autorizzata, è punito con l’arresto sino ad un anno e con l’ammenda da € 2.000 ad € 10.000 (le pene sono, tuttavia, ridotte della metà qualora la difformità della composizione dichiarata rispetto a quella autorizzata riguardi esclusivamente gli eccipienti e non abbia rilevanza tossicologica, cfr. art. 147, co. 2, d.lgs. 219/2006 cit.).


                   2) In deroga a tale principio, è ammesso l’acquisto per il solo uso personale di medicinali regolarmente autorizzati in un Paese estero in due ipotesi legislativamente individuate:


                   a) Farmaci importati dall’estero su richiesta del medico curante (art. 158, co. 6, d.lgs. 219/2006 cit., nonché d.m. 11.2.1997):


                   Il medico curante che ritenga opportuno sottoporre un proprio paziente ad un trattamento con un medicinale regolarmente autorizzato in un Paese estero, ma non in Italia, è tenuto a predisporre e ad inviare al Ministero della Sanità – Ufficio di sanità marittima, aerea, di confine e di dogana interna, nonché al corrispondente ufficio doganale ove sono espletate le formalità di importazione, apposita documentazione  (nome del medicinale, sua forma farmaceutica; ditta estera produttrice; dichiarazione che il medicinale in questione è regolarmente autorizzato nel paese di provenienza; quantitativo di cui si chiede l’importazione nel territorio nazionale; esigenze che giustificano il ricorso al medicinale non autorizzato in Italia; dichiarazione di utilizzazione del medicinale sotto la propria diretta responsabilità).


                   L’importazione deve essere giustificata da oggettive ragioni di eccezionalità (mancanza di una valida alternativa terapeutica), la quantità di farmaco di cui si chiede l’importazione deve corrispondere ad un trattamento terapeutico non superiore a 90 giorni e la spesa per l’acquisto del medicinale è a carico del paziente (salvo che il farmaco venga richiesto da una struttura ospedaliera per l’impiego in ambito ospedaliero).


                   b) Farmaci che vengono personalmente importati dal viaggiatore (art. 158, co. 8, d.lgs. 219/2006 cit.):


                   Il viaggiatore che rientri in Italia può portare con sé farmaci registrati in altri Paesi purché destinati ad uso personale (trattamento terapeutico non superiore a 30 giorni).


                   Al riguardo, si segnala che – secondo quanto precisato in una nota dell’Ufficio Centrale Stupefacenti del Ministero della Salute - nella prassi, per quantitativi che eccedano un presumibile consumo di 30 giorni di terapia, le autorità sanitarie e doganali di frontiera possono richiedere al passeggero l’esibizione della prescrizione medica, nella quale sia riportata la (diversa) posologia. La stessa indicazione si rinviene nella Carta doganale del viaggiatore, diramata dall’Agenzia delle Dogane, con riferimento ai viaggi da e verso i Paesi extra UE.


                   3) Si precisa, infine, che in Italia non è ammessa la compravendita on-line dei farmaci in questione, neppure tramite siti internet di altri Paesi, essendo vietata la fornitura a distanza al pubblico dei medicinali con obbligo di prescrizione medica (cfr. art. 112 quater, co.1 e 2, d.lgs. 219/2006 cit.).


Associazione EpaC onlus


Documento redatto con la consulenza dello Studio legale Astolfi e Associati


30 Marzo 2016

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